La linea Cavallermaggiore-Alessandria

Relazione storica presentata dal Professor Piero Canobbio, insegnante di Storia e Filosofia al Liceo Classico “Delpino” di Chiavari, Capostazione FS, Socio Fondatore di Associazione Ferrovie Piemontesi, in occasione del convegno “Il trasporto pubblico integrato… e Cavallermaggiore” tenutosi nell’omonima cittadina sabato 6 settembre 2014. 

“Questa relazione storica sulla “Moretta-Alessandria” e diramazione per Asti – Mortara, pur nella sua brevità vuole essere un doveroso omaggio all’opera di geniali, probi uomini politici, ad illuminati ingegneri e tecnici, alle maestranze che operarono in Piemonte ancor prima dell’ Unità nazionale.
Queste persone, con onestà adamantina, con fede sincera e con competenza sicura, dedicarono ogni loro sforzo per creare, in un lasso di tempo sorprendentemente breve, l’ossatura della rete ferroviaria piemontese che a quell’epoca non ebbe eguale sviluppo in nessun altro Stato della penisola.
Il titolo del convegno mette in rilievo i potenziali e molteplici percorsi e le tante destinazioni del treno di Alba; la linea dove la città insiste venne realizzata in tempi diversi, ma pensata da subito, nonostante le mille questioni sul suo tracciato, come linea trasversale di un lungo percorso che parallelamente alla Torino – Venezia, doveva congiungere Moretta con Alessandria e da qui mediante opportuni raccordi progressivi Monselice, nel padovano.
La Moretta-Alessandria, nacque, dunque, come primo tassello di un itinerario medio-padano, alternativo nel tempo alla strada ferrata destinata a congiungere la città della mole con quella della laguna.
Se lasciamo le grandi coordinate ideali e storiche ed entriamo nelle pieghe e nei dibattiti del tempo, troviamo mille episodi che a tratti sembrano annullare i grandi orizzonti di trasporto prima menzionati.
Questo però non deve sorprendere, perché la ferrovia all’epoca era l’unico mezzo per uscire da un plurisecolare isolamento, i comuni si laceravano in mille questioni pur di usufruire del passaggio del nuovo mezzo e allora come oggi i grandi nodi finanziari sparigliavano le carte e dettavano molte condizioni.
Bra e Alba erano ovviamente attivissime nel dibattito sulle costruende linee del tempo: unite nel volere la ferrovia, spesso divise sul tracciato e sulle spese da sostenere.
Appena si sparse la notizia della ventilata costruzione della linea Torino-Savigliano, il Comune di Bra si fece promotore della progettazione di un tronco ferroviario per unire la città della Zizzola con Cavallermaggiore. E nel gennaio del 1852 venne costituita un’apposita società denominata: “Compagnia della Strada Ferrata da Bra a Cavallermaggiore”.
Lo statuto della società non prevedeva alcun onere da parte statale e in gran parte si affidava agli imprenditori inglesi John e Edward Pickering
I lavori procedettero con molte difficoltà economiche anche per le note vicende politiche del tempo, che indirettamente influenzarono l’avvio e la prosecuzione dell’opera: il progetto incontrò, tuttavia fortuna politica, proprio perché si muoveva sull’asse spaziale d’intersecazione alle linee nord sud, che il Piemonte intendeva costruire in varie tappe.
La cittadinanza di Bra era in fermento: il futuro, a detta di molti, in gran parte poteva essere assicurato da questo evento rivoluzionario…
L’ opera verrà inaugurata e aperta all’esercizio il 4 ottobre 1855.

La risposta di Alba non si fece attendere: nonostante fossero in avanzato corso i lavori per la realizzazione del tronco da Cavallermaggiore a Bra, gli amministratori albesi avevano fatto eseguire studi per unire la città di Pertinace con Torino, attraverso Carmagnola.
Una spinta concreta a questo progetto venne, tuttavia, dalla realizzazione della costruenda Bra-Savona che avrebbe così trovato il suo naturale proseguimento su Torino senza effettuare il più lungo percorso di Cavallermaggiore, chiaro segno che ingegneri e politici del tempo avevano precise idee sulla realizzazione di assi e trasversali…
Bisognerà attendere però il 7 aprile 1884 per vedere i treni da Alba e da Savona diretti a Torino a percorrere la nuova via, quasi dieci anni dopo l’inaugurazione della Bra-Savona…
Sin da quando vennero iniziati i lavori per la costruzione della Cavallermaggiore-Bra da più parti giunsero proposte per estendere la linea verso l’albese e l’alessandrino; non mancarono ovviamente discussioni e contrasti sul tracciato, nonostante la mediazione dell’allora Provincia di Alba.
Nel luglio del 1862 il parlamento unitario approvò la convenzione con la quale si concedeva ai privati la realizzazione di una linea da Bra ad Alessandria, senza indicare con precisione il percorso.
Vennero così elaborati diversi progetti e alla fine risultò preferito quello che diramava dalla stazione di Cantalupo, sulla già attiva linea Alessandria-Acqui.

Il fascio dei binari della stazione ferroviaria di Cantalupo, oggi.

Il fascio dei binari della stazione ferroviaria di Cantalupo, oggi.

Fu proprio dalla stazione di Cantalupo che la linea cominciò a prendere forma in direzione Nizza Monferrato, si dovettero superare notevoli difficoltà per mantenere il più possibile la linea a mezza costa senza intaccare la pianura, terreno prezioso per la migliore lavorazione agricola: ponti, gallerie e altri manufatti presero forma per permettere il passaggio dei convogli.
Il primo tronco tra Cantalupo e Nizza venne attivato il 13 ottobre 1864, mentre il 25 maggio 1865 era percorribile il percorso da Alessandria a Cavallermaggiore.
Questo continuo intreccio di date non deve stupire, al di là delle varie inaugurazioni si scorge una fine mente progettuale che a grandi linee aveva chiara la mappa infrastrutturale del nostro territorio; la realizzazione concreta dei vari tronchi è stata resa possibile spesso in appendice ad altri lavori e in coda ad altre opere che insistevano sull’ intera zona.
La genesi del tronco che da collegava Moretta con Cavallermaggiore va proprio cercata nell’idea di dotare questa parte di Piemonte di una linea composta da “due strade maestre: l’una a levante, l’altra ad occidente” come affermava già nel 1853 il giornale “La Stella”.
Anche qui non mancarono discussioni tra chi voleva raggiungere Saluzzo da Airasca e chi invece si batteva per collegare Airasca con Cavallermaggiore.
Vennero accontentate nel tempo le due scuole di pensiero e il 17 maggio 1886 venne aperto all’esercizio il tronco Moretta-Cavallermaggiore.

L'edificio della stazione di Moretta, così come si presenta oggi.

L’edificio della stazione di Moretta, così come si presenta oggi.

Alla realizzazione di questo segmento si deve l’influenza di Giovanni Giolitti, molto vigile sulle vicende di queste terre.
Giolitti concepì l’opera più per ragioni strategiche e militari che di altro tipo, essa si rivelò tuttavia efficace per mettere in collegamento diretto il pinerolese con l’alessandrino senza toccare Torino.
Nella stagione delle sue grandi riforme, Giolitti darà vita alle ferrovie statali, le linee sottratte all’ esasperante vincolo economico a cui le costringevano le gestioni delle imprese private conosceranno nuova vita.
La Moretta-Alessandria sarà a tutti gli effetti una linea della nuova società nazionale e tale rimarrà fino al luglio del 1959.
E si, perché proprio nell’estate di quell’anno, mentre il tronco Moretta-Cavallermaggiore era sospeso all’esercizio, per lavori, già in stato avanzato di rinnovo dell’ armamento, arrivò il comunicato di chiusura della linea.
La ditta appaltante, titolare di un regolare contratto, volle onorarlo, portando a termine il cantiere; sapendo però che la ferrovia non sarebbe stata riaperta, possiamo immaginare la cura nel completare il rinnovo del binario!
Nel luglio del 1959 la provincia di Cuneo aveva così la sua prima linea soppressa, a cui se ne aggiungeranno altre negli anni fino al 1994.

Veniamo ora alla Asti-Alba: di fatto il nome della linea era solo a titolo commerciale, assunto nel tempo; la denominazione originaria era “Castagnole-Asti-Mortara“.
All’inizio degli anni ’60 del 1800, la città di Asti era desiderosa di collegare tutta la sua zona di influenza con la ferrovia e quindi con con la Torino-Genova, anche qui non mancarono discussioni e dibattiti, prima di stendere materialmente il tracciato che avrebbe poi dotato la città di una fitta rete locale.

Nel mese di giugno del 1869, la “Gazzetta del Popolo” di Torino, scriveva: “Il 12 corrente, dopo sei mesi di indefesso lavoro, si giunse finalmente al traforo della galleria detta di Castagnole, la quale è destinata ad aprire il varco della locomotiva che dovrà mettere l’Alto Piemonte nella più breve comunicazione colla Lombardia, passando per Asti e Casale…”

Il compimento della perforazione della galleria venne salutato da un vero tripudio di popolo e di autorità e il 12 luglio 1870 l’intera linea era percorribile.
Da Alba, sia pure cambiando a Castagnole, era possibile raggiungere Asti, Casale e Mortara la via più breve per arrivare a Milano.
Su questo percorso, negli anni ’50 del novecento venne dato vita ad un collegamento diretto quotidiano tra Cuneo e Milano Porta Genova, treno frequentatissimo messo in crisi da un movimento franoso sulla linea, tra Castagnole e Motta di Costigliole.
Alla fine degli anni ’70 la linea venne così interrotta a causa di numerose frane. Si decise di “risolvere” il problema abbandonando il vecchio tracciato e proponendo la realizzazione del famoso viadotto (per la modica cifra di 23 miliardi di Lire di allora …destinata a raddoppiarsi…, corrispondenti a 37.000.000 di €uro di oggi) anche se il geologo Floriano Villa riteneva possibile il ripristino del vecchio tracciato spendendo circa un decimo.
Sul vecchio percorso insisteva uno splendido ponte che Italia Nostra decise di tutelare, come manufatto di archeologia industriale, ma le FS erano decise per la demolizione, perché ritenuto pericolante.
Occorsero in realtà parecchie cariche di esplosivo per abbattere il piccolo viadotto, alla cui difesa si erano invano mossi alcuni abitanti della zona.
Nel settembre 1988, la Asti-Castagnole veniva interamente riaperta, in parte sostituita con una variante di tracciato dello sviluppo di m. 4.640, comprendente un viadotto di 144 campate da 26 metri cadauna.
La nuova linea era destinata comunque a fornire buone prestazioni, tanto da poter diventare rapidamente un asse merci di notevole livello, ma la politica ferroviaria e non solo ferroviaria di quegli anni non le consentì di decollare oltre l’ ambito locale.
Non dobbiamo stupirci: da sempre la ferrovia ha conosciuto sostenitori e detrattori; quando venne realizzata la prima linea ferroviaria al mondo, in Inghilterra, gli oppositori dissero in Parlamento che le mucche non avrebbero più fornito il latte e le galline non avrebbero più deposto le uova, le pecore avrebbero perso il vello e le volpi, sconvolte dall’incontro dei convogli nella loro corsa attraverso le campagne, avrebbero fatto uscire di senno i cacciatori.
Tutta la vita biologica delle piante, quanto quella degli animali e degli uomini avrebbe subito un radicale mutamento…
Vorrei fare ora qualche cenno alle persone che in qualche modo si sono trovate a stretto contatto con le nostre ferrovie; il primo pensiero va ad ingegneri e maestranze che in pochi anni e con pochi mezzi ci hanno dotato di una rete meravigliosa.
Dalla mia memoria e senza nessuna pretesa classificatoria mi vengono in mente poeti, scrittor e giornalistii che in più opere hanno parlato di quelle che, per alterne fortune, possono essere definite, a mio modesto parere “le ferrovie della malora”, ovviamente il termine “”malora” è preso in prestito dall’ opera del grande Beppe Fenoglio…
Il mio pensiero corre a Cesare Pavese, nelle sue opere vediamo spesso contrapposte la campagna e la città: il treno dei “paesi tuoi”, diventa il magico mezzo che unisce due mondi apparentemente contrapposti…
Al treno dedica più di un romanzo Franco Piccinelli di Neive che nell’opera “Il treno delle sei”, ritorna sul treno che quotidianamente prendeva da studente liceale per andare da Neive ad Alba e scrive: “E’ durato un quarto d’ora il mio viaggio sul treno delle sei, ma in quei minuti ho visto trascorrere tante esistenze, compresa la mia. Non ho avuto bisogno di affacciarmi ai finestrini per guardare avanti o per volgermi indietro: le stanze mentali sono spalancate persino sui misteri… Ed è curioso e comprensibile come si più si marci verso il calar del sole, più se ne rivaluti il sorgere, nell’illusione o nella fede di un’aurora perenne”.

La stazione di Neive, non più adibita all'uso ferroviario da 4 anni

La stazione di Neive, non più adibita all’uso ferroviario da 4 anni

A Franco Piccinelli sembra rispondere Raoul Molinari, che dalle colonne di “Gazzetta d’Alba” del 4 giugno 1997 descrive quasi poeticamente e con notevole sconcerto le condizioni delle stazioni, compresa quella di Neive: “Risento la severa voce del capostazione, Irmo Piccinelli, che esigeva da noi studenti indisciplinati, decorosi comportamenti nella sala d’ aspetto, che lui teneva calda e accogliente.
Chissà dov’è finita quella vecchia “warmorning” che irradiava anche calore umano…”
In ultimo vorrei ricordare un personaggio di cui si parla molto poco: Cesare Pozzo, pioniere del sindacalismo ferroviario italiano, che sulla Moretta-Alessandria venne mandato in una delle sue tante peregrinazioni, per punizione.
Nella società quasi esclusivamente agricola dell’Italia ottocentesca, i ferrovieri rappresentavano la categoria forse più importante, perché numerosa, diffusa su tutto il territorio e legata all’unico servizio pubblico nazionale.
L’acquisizione di una “coscienza di classe” da parte di questi lavoratori, negli anni Ottanta e Novanta si intrecciò con la vicenda umana del macchinista Cesare Pozzo, affascinante figura di pioniere che riassumeva in sé tutto il travaglio di un’epoca ricchissima di nuovi fermenti.
Pozzo era dotato di un’impressionante capacità di lavoro, unita a uno spiccato senso pratico e a una rara lungimiranza. Ma soprattutto si caratterizzava per la vivacità intellettuale, che lo spinse ad approfondire le varie teorie politiche e sociali, dal mazzinianesimo all’anarchismo, alle idee radicali, con la finale appassionata adesione al socialismo.
La sua opera, contraddistinta da un’assoluta integrità morale, è stata sempre ricordata con rispetto e commozione dai ferrovieri, tanto che oggi porta il nome “Cesare Pozzo” la vecchia Società di mutuo soccorso dei macchinisti e fuochisti, divenuta la più grande d’Italia e aperta a tutti i cittadini.
Non sappiamo molto della vita di questa straordinaria figura di ferroviere nelle nostre terre: egli fu più volte punito e costretto ad emigrare in molti depositi locomotive d’Italia.
Sfiancato in tutti i modi, pose fine alla sua esistenza ad Udine lanciandosi sotto un treno.”

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